Alert sanitari
23 Maggio 2022 Gli alert sanitari che si succedono rendono urgente riflettere su una prevenzione a 360°, che renda permeabili e sinergici tutti gli ambiti della salute e del benessere.
Da una parte la virologa Ilaria Capua, dalle colonne del Corriere della Sera, lancia l’allarme di un possibile lockdown per i maiali, pur escludendo il contagio per l’uomo. Si tratta di una tragedia già annunciata, puntualizza Capua -visto il dilagare del virus in altri Paesi già da qualche tempo. Dall’altra Gianni Rezza- direttore della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute- rassicura che la situazione monkeypox in Italia è costantemente monitorata: un caso finora è conclamato, sugli altri si sta facendo chiarezza. Al centro un enorme dubbio: dopo due anni di Covid, non è che ci risiamo? Ovviamente non è la stessa cosa: diverso il contesto, diversi i virus, diverso l’arsenale vaccinale, diverse le modalità di contagio e la platea suscettibile all’infezione. Per la PSA, sottolinea per esempio la virologa, siamo in presenza di un virus molto selettivo, prerogativa esclusiva dei suidi. Una cosa però è certa: il mondo continua a scoprirsi fragile e sempre più a rischio di spillover. Non a caso uno studio pubblicato su Nature afferma che nei prossimi 50 anni, il cambiamento climatico potrebbe portare a oltre 15.000 nuovi casi di mammiferi che trasmettono virus ad altri mammiferi. La ricerca prevede che gran parte della nuova trasmissione del virus avverrà quando le specie si incontreranno per la prima volta spostandosi in luoghi più freddi a causa dell'aumento delle temperature. Allora cosa fare: arginare i contagi dopo che sono avvenuti (attraverso il rilevamento e il contenimento delle minacce zoonotiche emergenti) o – piuttosto - prevenirli a monte con interventi mirati che puntino su leve clou? Secondo un articolo pubblicato da Science, sarebbe questa la soluzione migliore: intervenire proattivamente limitando la deforestazione (e quindi i cambiamenti climatici ad essa correlati), riducendo e regolamentando il commercio di animali selvatici; migliorando la rilevazione e il monitoraggio delle malattie infettive negli allevamenti. E l’incentivo principale all’adozione di questo approccio è che la prevenzione primaria costa una frazione del costo delle cure. Ad avallo di ciò, infatti, lo studio prosegue evidenziando la crescente frequenza assunta dalle zoonosi e calcolandone i costi anche tramite una proiezione a ritroso nel tempo che tenga conto delle epidemie del XX secolo.
“Gli shock sanitari, sociali ed economici della pandemia di COVID-19 – afferma lo studio, invitando ad una riflessione sul Covid e sul suo portato in termini socio-economici - obbligano a prendere in considerazione la prevenzione di simili futuri disastri pandemici. Ad oggi, la maggior parte del denaro è stato speso dopo che i virus hanno raggiunto la scala epidemica o pandemica e i loro danni economici e sanitari sono cresciuti immensamente. I "proiettili magici" monotetici, inclusi test diagnostici, trattamenti e vaccini, non sono riusciti a controllare il COVID-19 poiché si è diffuso in tutto il mondo e ha richiesto il più grande tributo sanitario ed economico di qualsiasi agente patogeno nella storia recente. Ciò chiarisce che non possiamo fare affidamento esclusivamente su strategie post-spillover per prevenire un destino simile in futuro”. Ovviamente, conclude lo studio, nessun degli interventi proposti preverrà una pandemia. Bisogna piuttosto considerarli alla stregua di cunei complementari in grado di rallentare e invertire il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Per questo vengono fortemente caldeggiate indagini scientifiche, azioni politiche e risorse finanziarie e organizzative finalizzate a prevenire la prossima pandemia. Infatti si stima che le azioni di prevenzione primaria sono notevolmente poco costose rispetto alle molte vite che le zoonosi virali emergenti prendono o al danno economico diretto che causano.
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