One Health
08 Febbraio 2022 La prevenzione, però, non è una priorità: purtroppo, infatti, la minaccia di future zoonosi non sembra essere sufficiente a implementare interventi coordinati volti a sterilizzare il rischio prima ancora che si configuri. E questa visione miope ha dei costi
Il recente articolo “The Costs and Benefits of Primary Prevention of Zoonotic Pandemics”, pubblicato su Sciences Advanced da un team internazionale di ricercatori, affronta lo spinoso problema delle zoonosi, anche alla luce delle conseguenze della recente pandemia. Il concetto di fondo affrontato nella pubblicazione è l’atteggiamento di molte influenti istituzioni che si ripromettono di affrontare un eventuale futuro spillover solo dopo che esso si sia verificato. Al contrario – sottolinea lo studio – non sembra ci sia a livello internazionale una reale volontà di attuare una sistematica prevenzione. Eppure, saper prevedere e prevenire futuri salti di specie sarebbe un’enorme conquista per la nostra società. Dal momento che – sottolinea lo studio - molte ricerche mostrano che la diffusione dei virus dagli animali all'uomo è la principale fonte di rischio di pandemia e che la stessa pandemia del coronavirus 2019 molto probabilmente ha avuto origine in un evento zoonotico.
Tra gli esempi di questo atteggiamento ex post, lo studio cita il G-20 e la sua iniziativa di formare un gruppo di alto livello sul "Finanziamento dei beni comuni globali per la preparazione e la risposta alle pandemie", con l’incarico di "valutare gli attuali sistemi di finanziamento e suggerire soluzioni praticabili a lungo termine". Questo panel – viene chiarito nella nota di avanzamento del 2021 - prenderà in considerazione solo il finanziamento delle attività successive allo spillover.
Zoonosi e costi
Al fine di corroborare la tesi dell’estrema necessità di prevenire eventuali spillover, lo studio esamina il tasso di comparsa di nuovi virus zoonotici nel tempo e i costi necessari a ridurre i rischi di futuri focolai infettivi con potenziale pandemico. Da questo approccio, emerge per esempio che dal 1950 sono stati registrati 28 focolai, pari cioè a una media di 0,40 focolai all'anno e a una perdita annuale di $ 212 miliardi. Se le azioni di prevenzione dimezzassero tali perdite economiche - concludono gli studiosi - oltre a dimezzare i costi di mortalità, il risparmio annuo aggiuntivo previsto sarebbe di 106 miliardi di dollari.
Soluzioni?
Tratteggiato il quadro, eccoci alla domanda del secolo: “Cosa possiamo fare per ridurre al minimo il rischio di futuri focolai e aumentare la velocità di rilevamento di nuovi agenti patogeni prima che si diffondano a livello locale e globale?” Tre le linee di azione prospettate dallo studio: espandere la scoperta e la sorveglianza virale; monitorare la caccia e il commercio della fauna selvatica, nonché l'allevamento di animali di grandi dimensioni ad alta densità per le infezioni virali; prevenire la deforestazione e altri cambiamenti nell'uso del suolo associati all'espansione agricola.
Criticità
Tra le problematiche principali, inoltre, lo studio sottolinea la carenza di veterinari, specialmente in alcuni paesi. Solo una piccola percentuale di operatori veterinari – sottolinea la ricerca - lavora su malattie della fauna selvatica e virus insoliti. La maggior parte si occupa di bestiame domestico e animali domestici. Eppure, è noto come i veterinari abbiano avuto un ruolo principale come sentinelle per l'emergenza di malattie. Sono stati, infatti, i principali fautori del concetto di One Health che integra il benessere umano e animale in senso lato e le malattie infettive in particolare. Quindi attenzione – è il monito - un paese con pochi veterinari, molte specie di bacini artificiali e molte persone che consumano o commerciano fauna selvatica sarà maggiormente a rischio di zoonosi.
TAG: COVID 19, SPILLOVER, VETERINARI, ZOONOSI
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