One Health
30 Giugno 2022 Viaggio nell’interfaccia uomo animale per comprendere vantaggi e prospettive di un approccio scientifico e One Health, condiviso da medicina umana, veterinaria, infettivologia e parassitologia. Focus su leishmaniosi e borreliosi nel convegno organizzato da MSD Animal Health e SoIPa.
“Ben oltre il cono di luce che illumina l’uomo: quello che non si conosce è molto di più, ed equivale all’immensa zona d’ombra interrotta dallo sprazzo luminoso. E questa oscurità enorme è proprio l’interfaccia uomo animale su cui oggi più che mai sarebbe necessario indagare” esordisce così Gioia Capelli direttore sanitario dell’IZSVe. “Perché – continua con la sua metafora– è in quell’enorme sconosciuto interfaccia che va collocato Sars-Cov-2”. Ma attenzione, lì non risiedono semplicemente le malattie: “quel buio è anche il regno dell’antibiotico resistenza. E di tutto ciò che ha potenzialità di spillover”. Un’immagine suggestiva quella con cui il direttore sanitario dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie entra nel vivo della tavola rotonda SoiPa e MSD Animal Health e che mette a confronto vari specialisti: infettivologi, parassitologi, medici e veterinari per parlare di “salute unica”, prendendo spunto da due infezioni tristemente note nel nostro Paese: leishmaniosi e malattia di Lyme.
Obiettivo? Tradurre il concetto di One Health in attività pratica. “Quando si parla di salute unica – prosegue Capelli – io intendo la condivisione reciproca delle conoscenze acquisite tra me e il partner medico. E le malattie da vettore, paradigma ideale di questo rapporto indissolubile che esiste tra uomo, animale e ambiente, sono proprio tra i temi più meritevoli di condivisione”. Eppure, questa naturale interconnessione spesso fa fatica ad essere recepita. Servirebbe una maggiore comunicazione fra le varie branche della scienza. Proprio quello che auspica la dottoressa Luisa Galli, professore associato di pediatria all’Università di Firenze, che dal suo osservatorio privilegiato segnala un forte aumento di casi di leishmaniosi viscerale nei bambini. Complice sicuramente l’esistenza in Toscana di ampie aree endemiche, certo. “Tuttavia – ammonisce la professoressa – sarebbe da approfondire insieme ai veterinari il rischio costituito dai numerosi cuccioli di cani ‘adottati’ durante la pandemia”. Non solo opportuno, dunque, ma necessario: ci si deve parlare, per condividere ‘saperi’.
Un po’ quello che succede – anche se non da molto – per quanto concerne il West Nile. A spiegarlo interviene nuovamente la dottoressa Capelli. “Virus con reservoir negli uccelli e che tramite la zanzara passa all’uomo, il West Nile in Italia è endemico dal 2008. Eppure, per anni ci sono stati due distinti piani di prevenzione: uno umano, l’altro animale. Un paradosso, ovviamente, dal momento che si tratta della medesima malattia. Solo di recente si è ottenuto un unico piano di arbovirosi dall’ampio orizzonte temporale (2020-2025). E la cosa eclatante è che il caso italiano è un unicum: non esiste altrove in Europa un approccio unico come quello nostro. Questo ha apportato enormi vantaggi anche economici per quanto attiene allo screening delle sacche di sangue per le trasfusioni. Dal momento che si è stabilito che la positività animale precede nel 99% dei casi quello umano, oggi i colleghi di medicina umana, prima di attuare qualunque controllo, attendono il via libera dai veterinari. Una bella prova di fiducia. E di dialogo che funziona. Senza dubbio. “Il concetto di One Health – ricorda Ezio Ferroglio ordinario di parassitologia università Torino – non nasce adesso: già Giovanni Brugnone, fondatore della Scuola Veterinaria piemontese, sosteneva infatti che la medicina è una sola. Anticipava i tempi. Peccato che non sempre noi diamo seguito alle sue indicazioni. La parassitologia dovrebbe avere un ruolo trainante attorno a un tavolo di esperti, in cui discutere tutti insieme dei problemi, ‘ascoltando’ la storia. E le istituzioni dovrebbero tenere da conto queste iniziative congiunte” “In assenza di una reale ‘cultura della malattia’ - aggiunge Gioia - non potrà esserci infatti neanche cultura della prevenzione”. “Un approccio realmente One Health- interviene Renzo Scaggiante del San Martino di Belluno – significa far sparire la parola ‘sorpresa’: finché si viene colti di sorpresa, infatti, vuol dire che non siamo a sufficienza preparati”. E questo capita quando non si condividono le informazioni. Prendiamo per esempio una diagnosi di borreliosi - spiega ancora Scaggiante -: “se è facile, quasi naturale per un medico del Cadore far risalire determinati sintomi a un morso di zecca, può non essere altrettanto immediato per un medico del padovano”. Ecco allora l’importanza di condividere e diffondere saperi ed esperienze. “I medici di base e quelli ospedalieri vanno sensibilizzati – approva infatti Alessandro Bartoloni primario malattie infettive dell’Ospedale di Careggi -. Davanti a un aumento di casi di leishmaniosi e borreliosi, probabilmente correlato a una minore prevenzione nel periodo pandemico, i medici dovrebbero alimentare il ‘sospetto’. Solo quando si abbia un sospetto di possibile infezione, infatti si avvierà un opportuno processo diagnostico”.
Leishmaniosi e borreliosi: i casi aumentano. Esiste una correlazione tra pandemia da Sars-Cov- 2 e una minor protezione? “Certezze assolute su tale correlazione – spiega Gaetano Oliva del dipartimento di Veterinaria dell’Università di Napoli Federico II – non ve ne sono. Due dati, però, sono assodati. Il primo riguarda un effettivo maggior ricorso ai medici veterinari. Il secondo è invece relativo al rapporto sbagliato che - ahimè - sta maturando tra uomini e animali da compagnia, spesso erroneamente considerati come ‘figli’ o ‘fratellini’. Curare un animale non vuol dire solo curarne eventuali malattie, ma prendersene cura nel modo giusto. Altrimenti il rischio più frequente è quello di incorrere in problemi sanitari causati da una gestione errata”. Quanto alla diffusione della leishmaniosi, il professore Oliva aggiunge un caveat. “L’infezione trova certo un serbatoio privilegiato nei cani, tuttavia, oggi va adottato un approccio globale, una visione strategica più ampia. Si sta infatti indagando il ruolo di serbatoi di altri animali (del gatto e di altra fauna sintropica)”. In termini di prevenzione, Oliva dà infine un suo suggerimento: “Quello che servirebbe e che impatterebbe positivamente sui costi, è un collegamento tra la prevenzione oggi effettuata sui cani e la sanità pubblica, con l’obiettivo di limitare il passaggio all’uomo”. Andrebbe dunque colmato questo gap. Peccato però che - spiega Oliva – “il veterinario non è ancora considerato un anello fondamentale nell’approccio One Health e che non si vuole riconoscere come il veterinario privato svolga un ruolo importante anche in termini di sanità pubblica”.
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