Alert sanitari
17 Aprile 2025Su The Lancet un gruppo di ricercatori avverte che fino al 10% della popolazione in alcune aree dell’America Latina è stata infettata. Condizioni climatiche come El Niño ne favoriscono la diffusione, ma non esistono vaccini né trattamenti specifici
Il virus Oropouche, identificato per la prima volta negli anni ’50 e rimasto nell’ombra per decenni, sta preoccupando molti scienziati. In alcune aree dell’America Latina ha infettato fino al 10% della popolazione, secondo uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases. L’epidemia sembra legata a fenomeni climatici come El Niño e potrebbe aggravarsi con il cambiamento climatico.
Il virus Oropouche, noto fin dagli anni ’50, è rimasto per lungo tempo nascosto, ma oggi torna a far parlare di sé in America Latina. Secondo un recente studio condotto da un team internazionale guidato da Jan Felix Drexler, Responsabile del laboratorio di epidemiologia dei virus all’Istituto di virologia della Charité-Universitätsmedizin di Berlino, il patogeno sarebbe molto più comune e diffuso di quanto si pensasse.
Gli studiosi, infatti, hanno approfondito i fattori che potrebbero aver fatto da moltiplicatore, evidenziando che le condizioni climatiche sembrano aver avuto un’influenza significativa sulla sua diffusione.
“I nostri dati mostrano che il virus Oropouche è ampiamente sottodiagnosticato in America Latina” ha commentato Drexler. “In alcune aree, almeno una persona su dieci ha avuto una precedente infezione”. “Sappiamo ancora relativamente poco del virus” ha aggiunto. “Le conseguenze di un’infezione, anche sui feti, richiedono ulteriori indagini. Non è ancora chiaro se vi siano parallelismi con il virus Zika. Nel complesso, tuttavia, sembra causare danni ai feti meno frequentemente rispetto a Zika”.
Gli scienziati hanno esaminato oltre 9.400 campioni di sangue di persone sane e malate, raccolti tra il 2001 e il 2022 in sei Paesi (Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador e Perù), rilevando la presenza di anticorpi contro il virus in circa il 6% dei campioni totali. Ci sono però alcune variazioni regionali: nelle regioni amazzoniche, per esempio, la percentuale sale oltre il 10%, mentre nei campioni provenienti dal Costa Rica era in media del 2% e del 5% in quelli provenienti dall’Ecuador.
Dalle analisi è emerso che le persone che vivono ad altitudini più elevate hanno meno probabilità di aver contratto una precedente infezione da Oropouche rispetto a quelle che vivevano in contesti più bassi e caldi. Il confronto tra campioni di sangue di anni diversi, inoltre, ha indicato anche fluttuazioni nei tassi di infezione di anno in anno.
Tra le possibili cause dell’infezione, i ricercatori hanno ipotizzato che le condizioni climatiche – piogge costanti e temperature elevate – esercitino la maggiore influenza sulle infezioni, favorendo la proliferazione dei vettori
“Presumiamo quindi che l’attuale epidemia sia stata alimentata da fenomeni meteorologici come El Niño” ha spiegato Drexler. “Al contrario, non abbiamo trovato prove che le mutevoli proprietà del virus possano fornire una spiegazione alternativa per l’attuale numero elevato di casi. Penso che sia possibile che il virus Oropouche diventi ancora più diffuso in futuro con l’avanzare del cambiamento climatico”.
Per questo motivo, oltre alla foresta amazzonica, il rischio è elevato anche in America Centrale, nei Caraibi e lungo le coste del Brasile.
“L’area di distribuzione principale è la foresta pluviale amazzonica” continua Drexler. “Tuttavia, esiste un rischio elevato anche in alcune parti dell’America Centrale e dei Caraibi, nonché nelle aree meridionali e costiere del Brasile”. Oltre ai virus della Dengue e Chikungunya, secondo lo studioso, “Oropouche è probabilmente il virus più comunemente trasmesso tramite punture di insetti in America Latina”.
Attualmente non esistono vaccini né trattamenti specifici contro la febbre causata dal virus Oropouche. Le infezioni gravi, che possono portare a meningiti o complicanze fetali, sono rare ma preoccupanti. Dalla fine del 2023, in America Latina e nei Caraibi i casi segnalati hanno superato quota 20.000, con due decessi registrati in donne giovani e molte segnalazioni di aborti spontanei o malformazioni fetali.
Gli esperti raccomandano quindi di adottare misure di prevenzione come indossare abiti lunghi, utilizzare repellenti per insetti e preferire zanzariere a maglia fine, data la ridotta dimensione dei vettori. Alle donne incinte, inoltre, si consiglia di consultare un medico prima di recarsi in aree a rischio, mentre la comunità scientifica chiede maggiore attenzione per studiare gli effetti a lungo termine del virus sui feti.
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