Animali da Compagnia
15 Ottobre 2025Il legame con il cane agisce su ormoni, sistema immunitario e microbioma, migliorando la qualità della vita e persino la durata. L’esperto Giacomo Rossi (Unicam): “Non solo stimolazione neuroendocrina: la chiave è nella comunicazione batterica tra uomo e animale”
Vivere insieme a un cane può essere una vera e propria medicina naturale. Sempre più evidenze scientifiche mostrano che la presenza di un animale domestico migliora l’umore, rafforza il sistema immunitario e influisce positivamente sulla longevità. Secondo Giacomo Rossi, professore di Patologia generale e Anatomia patologica veterinaria all’Università di Camerino, gli effetti benefici non derivano soltanto dalla sfera emotiva o ormonale, ma anche da una “comunicazione batterica” che coinvolge il microbioma umano e animale, un campo di studio che apre nuove prospettive nella medicina della longevità.
La presenza e il contatto costante dell’uomo, e in particolare dell’anziano, con un animale “induce effetti benefici innegabili che impattano positivamente sulla qualità della vita, sul sistema immunitario e sui meccanismi che regolano la qualità e la durata della vita” spiega Giacomo Rossi, professore di Patologia Generale, Fisiopatologia, Immunopatologia e di Anatomia Patologica Veterinaria dell'Università Camerino.
“Questi meccanismi, fino a qualche anno fa attribuiti alla sola stimolazione neuroendocrina indotta dall’interazione sensoriale, oggi sono legati anche alla ‘comunicazione batterica’ o al cosiddetto microbioma sociale” continua il professore, che sarà tra i relatori dell’evento Microbiota intestinale, target emergente nella Medicina della longevità. “La comunicazione batterica, tuttavia non scevra di rischi igienico-sanitari in una popolazione immunologicamente vulnerabile, è un fattore che va gestito e governato con la stretta collaborazione del mondo medico e medico-veterinario proprio in un’ottica di One Health”.
“Sono batteri le prime forme di vita che hanno popolato la terra e che ne hanno modificato profondamente la struttura, il clima e la morfologia, aprendo la strada allo sviluppo e all’evoluzione di forme viventi sempre più complesse e specializzate. Ciononostante – prosegue Rossi – anche le forme viventi più complesse che oggi popolano il nostro pianeta sono degli olobionti, ovvero organismi complessi la cui fisiologia e sopravvivenza si basa sulla coesistenza, in svariate aree del loro ‘soma’, di ricchissime comunità batteriche con cui comunicano costantemente. La comunicazione batterica implica il rilascio e il rilevamento di auto-induttori e altri segnali chimici, un processo chiamato quorum sensing, che consente alle migliaia di famiglie, cladi, specie e generi, di regolare l’espressione genica in base alla densità di popolazione”.
“La pet therapy, definita come Intervento assistito dagli animali (Iaa), si basa sull’interazione tra animali ed esseri umani. Si tratta di uno strumento che può integrare e supportare le terapie tradizionali e può essere utilizzata su pazienti affetti da diverse patologie, migliorandone la qualità della vita dal punto di vista comportamentale, fisico e psicosociale. Numerosi studi hanno dimostrato che la pet therapy può avere effetti positivi su vari disturbi mentali, come ansia, depressione e stress post-traumatico”.
“Ad oggi – spiega Rossi – si ritiene che i meccanismi attraverso i quali la pet therapy esercita i suoi effetti positivi siano per lo più o quasi esclusivamente neuropsicologici e relazionali, legati alla comunicazione classica o sensoriale uomo-animale, senza prendere in considerazione minimamente la ‘comunicazione batterica oppure omica’ tra questi due esseri interagenti. Solo pochissimi studi, infatti, iniziano a considerare i meccanismi della comunicazione batterica – microbiomica e metabolomica – alla base degli effetti che le terapie assistite con animali hanno sull’uomo, sulla sua qualità di vita e, in ultima analisi, sulla durata della vita stessa”.
“È ormai appurato che il primo beneficio derivante dall’interazione uomo-animale sia legato ad una serie di modificazioni di natura neuro-ormonale. Alla base di queste modificazioni vi è la produzione di ossitocina definita anche come ‘ormone dell’attaccamento’, seguito dal rilascio di endorfine, autentici stimolatori dell’umore e antidolorifici naturali, e della dopamina associata al piacere e alla gratificazione, tanto che il suo aumento sembra contribuire alle sensazioni positive provate durante le sedute di pet therapy. È stato inoltre dimostrato che tali sedute determinano incrementi sostanziali di prolattina, ormone associato al controllo e alla riduzione dello stress, che contribuisce fortemente alla riduzione dei livelli di cortisolo nel paziente, generando un altro degli effetti benefici del rapporto interattivo uomo-animale. L’epinefrina e la noradrenalina, ormoni coinvolti nella risposta allo stress, seguono lo stesso andamento del cortisolo”.
Gli Iaa “generano una serie di variazioni positive su alcuni parametri fisiologici quali una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, con una riduzione dell’eccitazione fisiologica e dei segnali di stress. A questi aspetti si associa un miglioramento della risposta immunitaria generale e mucosale, con un incremento delle immunoglobuline A”, ricorda il professore.
Il contatto fisico e visivo con un animale, l’essere lambiti e contraccambiati dall’animale “genera un forte incremento di ossitocina che neutralizza gli effetti negativi della solitudine, frequente nel periodo della terza età, contribuendo a invertire i disturbi della memoria e dell’apprendimento nel morbo di Alzheimer. Il sistema dell’ossitocina è collegato al sistema dopaminergico mesocortico-limbico, il che suggerisce che l’ossitocina può influenzare i comportamenti mediati dalla dopamina, in particolare quelli legati ai segnali sociali e alla motivazione. Studi sui centenari – conclude Rossi – dimostrano variazioni specifiche per età nei sistemi dell’ossitocina e della dopamina (con incremento dei recettori per l’ossitocina a livello dell’ippocampo e amigdala, che risulta età-dipendente) e i loro effetti sull’invecchiamento socioemotivo. È stata inoltre dimostrata una correlazione tra i livelli sierici di ossitocina e il volume cerebrale, con una chiara correlazione positiva con il volume cerebrale della regione ippocampale sinistra e l’amigdala entrambi età-correlati”.
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