suini
22 Aprile 2024Dopo l’ultimo aggiornamento delle zone soggette a restrizione, è scattato il blocco delle esportazioni di prodotti suinicoli verso il Canada. Assica, Assosuini e Consorzio del Prosciutto di Parma si dicono preoccupate, mentre il Ministro Lollobrigida ha aperto un tavolo con la Commissione Ue
In seguito all’ultimo aggiornamento delle zone soggette a restrizioni, deciso dalla Commissione Ue, per via dei focolai di Pesta suina africana (Psa) – nel mese di aprile sono state ritrovate due carcasse di cinghiali positivi al virus, una a Fornovo di Taro e l’altra a Varano de Melegari, a pochi chilometri da Langhirano – con il passaggio di nuovi Comuni del Parmense nella zona di restrizione II, è subentrato il blocco delle esportazioni di prodotti suinicoli verso il Canada, uno dei maggiori partner commerciali extra Ue.
I timori dell’industria
C’è molta preoccupazione dopo che Canada e Stati Uniti hanno bloccato le importazioni dei prodotti provenienti dalle nuove zone soggette a restrizione. Come sottolineato da Davide Calderone, direttore dell’Associazione industriali delle carni e dei salumi (Assica) di Confindustria: “il Canada è un mercato chiuso per tutti i prosciutti e salumi che provengono dalla zona di restrizione II che comprende tra gli altri i comuni di Collecchio, Felino, Fornovo, Varano, in provincia di Parma, ad alta vocazione suinicola mentre gli Stati Uniti hanno una misura simile ma solo per i prodotti a breve stagionature e quindi sono salvi i prosciutti crudi stagionati, quindi il prosciutto di Parma è salvo per gli Usa”.
“Il problema diventa più urgente ora – continua Calderone – perché le zone sottoposte a restrizione cominciano a essere quelle dove ci sono tanti salumifici; inizialmente riguardavano l’Alta Liguria e il Piemonte dove ci sono pochissimi salumifici e pochi allevamenti, ora invece sono coinvolte anche le zone ad altissima vocazione di prosciuttifici e salumifici”.
“Riteniamo sia ancora possibile intervenire e chiediamo che il governo e la struttura commissariale decidano di intervenire ponendo recinzioni per salvaguardare le zone ad alta vocazione suinicola e produttiva. È fondamentale recintare. Chiediamo dunque che ci sia un cambio di passo, dopo il peggioramento della situazione con le nuove zone di restrizione che si stanno allargando. È una situazione economica molto problematica” conclude.
La preoccupazione è forte anche per il Consorzio del Prosciutto di Parma, come sottolineato dal presidente Alessandro Utini: “Segnaliamo che le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per le nostre esportazioni come gli Stati Uniti e l’Australia. L’unico cambiamento di rilievo riguarda il Canada, Paese che rappresenta il 2,5% del nostro export, verso il quale le aziende produttrici di Prosciutto di Parma situate in zona di restrizione II (ovvero quelle in cui la Psa è presente nel cinghiale) non possono spedire il loro prodotto”.
“Il nostro auspicio è che tutte le iniziative intraprese dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario alla Peste Suina Africana, dal Ministero dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e dalle Regioni competenti portino al contenimento ed eradicazione del virus, e a tutti va l’invito a compiere un ulteriore sforzo per raggiungere al più presto questo fondamentale obiettivo”.
Sulla vicenda è intervenuto anche Elio Martinelli, presidente di Assosuini: “Il rischio grosso che stiamo correndo è di perdere un settore importante, un’eccellenza del made in Italy. La Cina già non importa i nostri prosciutti da due anni, come anche la Corea e il Giappone. Adesso anche il Canada e se poi decideranno di fare la stessa cosa Stati Uniti, Francia e Germania che rappresentano i nostri principali mercati allora resteremo con i maiali negli allevamenti e i prosciutti nei prosciuttifici. Questo perché il 30% dei prosciutti che si producono in Italia vengono esportati. Se crolla l’export sarà una catastrofe per i 4.000 allevamenti italiani e per i trasformatori ma anche per tutto l’indotto”.
Inoltre, continua Martinelli, “se crolla l’export le aziende non avranno alternativa che chiudere e se, guardiamo all’esempio della Germania che ha affrontato il problema prima di noi, adesso il Paese fa segnare un 20% in meno di allevamenti dopo la fine dell’emergenza”.
“Finora il contrasto alla peste suina nel selvatico si è fatto solo in teoria – sottolinea il presidente di Assosuini – basti pensare che dopo un anno e mezzo il commissario straordinario non è ancora operativo. Si deve agire come fatto in Sardegna, dove il virus è stato eradicato con il coinvolgimento di tutte le forze in campo, a partire dai cacciatori che sono stati la chiave per sconfiggere il problema. E invece ora abbiamo un virus che corre velocissimo in Italia dove si calcola che ci siano 1,5-2 milioni di cinghiali”.
Nonostante ciò, almeno per il momento, gli allevamenti italiani di suini sono al sicuro: “grazie agli investimenti fatti dagli allevatori in materia di recinti e barriere e anche con i controlli che vengono fatti di continuo, sono super sicuri. Ricordiamo che la peste suina non si trasmette all’uomo ma colpisce cinghiali e suini, si propaga velocemente e porta nel 90% dei casi alla morte degli animali. Detto questo, i nostri prosciutti sono sicuri e super controllati ma questo non interessa al mercato che non intende rischiare”.
La posizione del Governo
Il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, intervento in Aula durante il question time sulle esportazioni bloccate a causa della Psa, ha dichiarato che il Governo è al lavoro con la Direzione generale della sanità della Commissione Europea per “convincere l’Europa” a “cambiare approccio”, così da consentire l’export di prodotti della filiera suinicola anche dalle zone soggette a restrizioni. “Abbiamo aperto un tavolo con la DG SANTE in Europa, perché va cambiato proprio l’approccio” ha dichiarato il Ministro. “Finora siamo riusciti in alcune Nazioni a spiegare ancora meglio perché si dovesse riaprire l’export almeno di alcuni prodotti di derivazione suina – parlo del Giappone, per esempio, con riferimento al prosciutto cotto – ma ci sono resistenze rispetto ad altro. Va proprio cambiata l'impostazione”.
La mossa dell’Italia, ha spiegato Lollobrigida, è un tavolo di carattere internazionale aperto con la Francia, di scambio di informazioni, e la richiesta all’Unione europea di non utilizzare la peste suina per avvantaggiare l’export di alcune Nazioni europee a danno di altre. La richiesta è di “lavorare in termini di solidarietà generale”, così come è avvenuto durante la pandemia di Covid.
Il Ministro ha citato il Vice Commissario alla Psa, Giovanni Filippini, “che è stato il responsabile dell’eradicazione dalla Sardegna della peste suina africana e, quindi, lo consideriamo un esperto di carattere indiscusso”. Quindi ha nominato anche il subcommissario Mario Chiari, direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna, nominato dal Masaf con Simone Siena: “Abbiamo avuto la possibilità, insieme a loro, di implementare non solo le risorse, ma un’azione che garantisca di evitare il blocco dell’export, un danno inimmaginabile in termini economici”.
Lollobrigida ha poi ricostruito l’operato del Commissario Vicenzo Caputo, il quale ha agito su due fronti, imponendo elevati standard di biosicurezza alle imprese e attuando procedure di controllo sanitario a salvaguardia del patrimonio suinicolo nazionale e dei relativi trasformati. Quanto ai cinghiali “abbiamo scelto di impattare rispetto a una visione iper ambientalista, che impediva di constatare su base scientifica che la presenza di cinghiali in Italia supera di 7 volte la media europea”.
Infine, il Ministro ha riepilogato gli interventi finanziari: la struttura ministeriale è stata rafforzata con 3,5 milioni di euro di dotazione per sostenere l’azione delle Regioni “che fanno la gran parte, anzi, quasi tutto quello che diventa azione sia di de-popolamento, sia di sostegno per la biosicurezza”. Ci sono ancora 15 milioni per questi interventi e 25 milioni in favore delle aziende suinicole danneggiate.
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