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11 Aprile 2022

Cani e gatti, serbatoio di resistenza microbica?

Un nuovo studio anglo-portoghese suggerisce la possibilità che lo stretto contatto con animali domestici potrebbe causare colonizzazione con batteri resistenti agli antibiotici


Cani e gatti, serbatoio di resistenza microbica?

Cani e gatti sani potrebbero trasmettere ai loro proprietari batteri resistenti agli antibiotici e geniche svolgono un ruolo chiave nella resistenza batterica, ecco quanto emerge dalla nuova ricerca che verrà presentata all’European Congress of Clinical Microbiology & Infectious Diseases (ECCMID), che si terrà Lisbona, dal 23 al26 aprile. Lo studio è della dott.ssa Juliana Menezes del Università di Lisbona e del dottor Sian Frosini del Royal Veterinary College, Regno Unito. “Abbiamo verificato che tra animali e proprietari c’è la possibilità di una trasmissione non solo di batteri resistenti agli antibiotici, ma anche di geni che predispongono alla resistenza. Da qui la  necessità di programmi di sorveglianza locali continui per identificare il potenziale rischio per la salute", afferma Menezes. Sul ruolo degli animali da compagnia come potenziali serbatoi di batteri resistenti agli antimicrobici, dunque, cresce il livello di guardia. Tra le infezioni oggi più temute c’è quella, per esempio, dovuta ai batteri dell’Escherichia coli (E. coli) comuni nell'intestino e per lo più innocui. Tuttavia, ce ne sono alcuni in grado di causare intossicazioni gravi e pericolose (nella sola Inghilterra se ne registrano oltre 40.000 casi ogni anno). Preoccupazione, anche per le infezioni causate da ceppi altamente resistenti con Enterobacteriaceae produttori di ESBL e AmpC (AmpC-E) e Enterobacterales produttori di carbapenemasi (CPE), che sono resistenti a più antibiotici tra cui penicillina e cefalosporine.   Scopo di questo studio, quindi, è quello di scoprire come si diffondono questi batteri resistenti e se esiste una trasmissione tra animali da compagnia sani (cioè cani e gatti) e i loro proprietari.

Lo studio

Gli animali oggetto di studio sono stati sottoposti a visita veterinaria allo Small Animal Veterinary Teaching Hospital dell'Università di Lisbona e al Royal Veterinary College Small Animal Veterinary Referral Service del Royal Veterinary College nel Regno Unito. Sono stati selezionati soltanto animali e proprietari che non avevano avuto infezioni batteriche e non avevano assunto antibiotici nei tre mesi precedenti l'inizio dello studio. Per quanto attiene al Portogallo sono state selezionate 41 famiglie e raccolti campioni di feci da 58 persone sane e dai 18 gatti e i 40 cani che vivevano con loro. Nel Regno Unito, le famiglie selezionate sono state 42, mentre i campioni di feci sono stati prelevati da 56 persone sane e 45 cani. I campioni sono stati raccolti a intervalli mensili per quattro mesi ed è stato effettuato un sequenziamento genetico per identificare sia le specie di batteri in ciascun campione, sia di geni resistenti.  I ricercatori hanno utilizzato Rep-PCR, una tecnica di fingerprinting molecolare veloce e facile da usare, che aiuta a identificare i ceppi di batteri correlati. Poiché non è sensibile come il sequenziamento dell'intero genoma, hanno anche sequenziato i ceppi per confermare il possibile scambio di batteri resistenti.

Gli esiti

Si è evidenziato, in entrambi i Paesi, che tra il 2018 e il 2020, su 103 animali domestici il 15% (1 gatto e 14 cani) e su 114 membri della famiglia il 13% sono stati portatori di batteri produttori di ESBL/AmpC.  Di questi, quasi la metà dei cani e gatti (6 in Portogallo e 1 nel Regno Unito) e un terzo dei membri della famiglia (4 in Portogallo e 1 nel Regno Unito) sono stati colonizzati da almeno un ceppo. In nessun campione è stato trovato Enterobacteriaceae o Acinetobacter spp. resistente ai carbapenemi. In quattro famiglie portoghesi, i geni di resistenza ESBL e i batteri produttori di Ampc plasmide (pAmpC) trovati negli animali domestici corrispondevano a quelli trovati nei campioni di feci dei loro proprietari. In tre di queste famiglie, i geni di resistenza corrispondenti sono stati recuperati solo in un momento, ma sono stati osservati ceppi condivisi in una famiglia in due momenti consecutivi, suggerendo una colonizzazione persistente da parte di batteri condivisi. Inoltre, in due delle famiglie, i microbi sugli animali domestici corrispondevano ai ceppi di E. coli trovati nel campione di feci dei loro proprietari, ma nelle altre due non c'erano prove che i batteri fossero condivisi. "A volte i batteri potrebbero non condividersi, ma i loro geni di resistenza lo fanno", spiega la dottoressa Menezes. "Questi geni si trovano su frammenti mobili di DNA, il che significa che possono essere trasferiti tra diverse popolazioni batteriche negli animali e nell'uomo". "Anche prima della pandemia di COVID-19, la resistenza agli antibiotici era una delle maggiori minacce per la salute pubblica perché può rendere incurabili malattie come polmonite, sepsi, infezioni del tratto urinario e ferite. Sebbene il livello di condivisione delle famiglie che abbiamo studiato sia basso, i portatori sani possono rilasciare batteri nel loro ambiente per mesi e possono essere una fonte di infezione per altre persone e animali più vulnerabili, come gli anziani e le donne in gravidanza. I nostri risultati rafforzano la necessità per le persone di praticare una buona igiene intorno ai loro animali domestici e di ridurre l'uso di antibiotici non necessari negli animali da compagnia e nelle persone". A conclusione della presentazione, gli estensori sottolineano che si tratta di uno studio osservazionale, che non può dimostrare che lo stretto contatto con animali domestici causi colonizzazione con batteri resistenti agli antibiotici, ma suggerisce solo la possibilità di tale effetto.  

TAG: RESISTENZA ANTIMICROBICA

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