Animali da Compagnia
19 Maggio 2022 Sostenuta da una domanda dinamica, l’industria del pet food oggi può contare su un sistema di controlli e di tracciamento che le hanno consentito di crescere nel tempo. Reperimento delle materie prime e controlli serrati sugli additivi sono alcune delle nuove sfide all’orizzonte.
Cresce in Italia la popolazione di animali d’affezione tra le pareti di casa e – parallelamente – cresce anche il mercato relativo alla loro alimentazione. Dalle rilevazioni IRI, presentate nel XV Rapporto Assalco-Zoomark, infatti, il giro d’affari sviluppato nei principali canali (Grocery, Petshop Tradizionali e Catene Petshop) nel 2021 si è attestato intorno ai 2.419 milioni di euro, per un totale di oltre 658 mila tonnellate vendute, registrando un trend a valore del +7,1% e a volume del +5%. Aggiungendo poi i risultati prodotti da canali emergenti come l’e-commerce e i Petshop GDO, si toccheranno i 2.533 milioni di euro di fatturato, per un totale di oltre 682 mila tonnellate vendute, con un incremento del fatturato complessivo del +8,4% e dei volumi del +5,9%. Trend non dissimile si ritrova anche a livello europeo, con un fatturato di circa 43 miliardi. Questo lo stato dell’arte oggi. Ma l’industria del pet food italiana ed europea non è nata ieri. Come ben sottolinea il Rapporto, infatti, essa ha alle spalle anni di dura gavetta, punteggiata da sfide non di poco conto. Come il morbo della mucca pazza (BSE) e la diossina o - un decennio più tardi - le contaminazioni da melammina in alimenti per cani e gatti. Scandali che hanno messo a dura prova la fiducia dei consumatori e hanno portato l’Unione Europea ad avviare una revisione completa di più di 80 regolamenti europei, molti dei quali applicabili anche al pet food. Turbolenze affrontate e superate grazie al valido sistemi di controlli e tracciabilità di cui può fregiarsi l’industria europea dell’alimentazione animale. Come ha ben dimostrato un’indagine britannica sulla BSE affermando che il pet food risultava più sicuro del cibo destinato all’alimentazione umana.
Come sta cambiando il mercato
A livello di decisori d’acquisto, vediamo che la forbice si sta allargando progressivamente: da una parte la scelta ricade su prodotti di primo prezzo, dall’altra si dirige verso l’alto di gamma. Nel frattempo, il mainstream si assottiglia. Quanto alla tipologia di prodotti, accanto a un’attenzione sempre più grande per il bio e la sostenibilità in senso lato (prodotti vegani, a chilometro 0, antiallergici, funzionali), vediamo anche una maggior indulgenza dei proprietari per l’acquisto di snack e premi vari. E se il consumatore cerca prodotti speciali, dichiarati in etichetta, l’industria deve adottare claim in grado di ‘raccontare’ il prodotto, spiegandone il valore aggiunto e il livello di innovazione. Attenzione, però, perché sui claim, specialmente su quelli funzionali, le regole sono precise. Le diciture, infatti, devono essere scientificamente dimostrate. Stessa situazione anche per i ‘‘claim ecologici’’: nel 2021 l’UE ha pubblicato dati secondo cui più del 50% dei claim ecologici (riguardanti varie famiglie di prodotti, e non specificatamente il pet food) avrebbero dovuto essere considerati semplicemente ‘‘ambientalisti’’, mentre il 42% erano addirittura considerati potenzialmente falsi o fuorvianti e in violazione delle regole dell’UE sulle Prassi Commerciali Sleali. Per chiarire la situazione, alla fine del 2021 l’UE ha avvertito la necessità di aggiornare le proprie indicazioni sulle prassi commerciali sleali pubblicando un documento di 129 pagine (G.U. UE C526 del 29/12/2021, p. 1), che tratta anche i claim funzionali ed ecologici.
Sfide all’orizzonte
Arrendersi mai. Neanche davanti alla crescente difficoltà di reperimento degli additivi, provenienti in larga parte dall’Asia e sempre più sotto osservazione dell’EFSA. E nemmeno davanti alla paventata carenza di materie prime. Piuttosto che si aprano le porte a nuove soluzioni. Come gli insetti, o le alghe, solo per citarne un paio.
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