Normative
31 Marzo 2023 Il Consiglio dei Ministri vieta la produzione e l'immissione sul mercato di alimenti e mangimi creati in laboratorio. E la carne sintetica è una delle imputate illustri. Sospetti, accuse e bocciature per un prodotto ancora in fase sperimentale: facciamo il punto della situazione con i professori Stefano Biressi e Luciano Conti, del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale ed Integrata dell’Università di Trento.
Cibo in provetta: l’Italia lo mette al bando. E la carne sintetica (più correttamente: carne colturale, in quanto ottenuta dalla coltivazione di cellule staminali), è la prima a fare le spese del provvedimento d’urgenza varato dal CdM. In mancanza di una specifica normativa europea in materia di alimenti e cibi sintetici, infatti, il Governo Meloni ha ritenuto di intervenire precauzionalmente a livello nazionale per tutelare gli interessi che sono legati alla salute e al patrimonio culturale.
Il provvedimento
Nato sull’onda dell’autorizzazione data dalla Food and Drug Amministration a due protocolli di produzione da cellule staminali, il provvedimento mira ad arginare preventivamente una futuribile diffusione di questi prodotti nel nostro Paese. Viene così sancito il divieto di impiegare, nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o comunque distribuire per il consumo alimentare, cibi o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati.
In caso di violazione il prodotto sarà confiscato e l'operatore è soggetto a una multa che va da 10mila fino ad un massimo pari al 10% del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente all'accertamento della violazione.
Carne sintetica: cos’è?
Definita anche carne pulita, la carne da laboratorio non viene da allevamenti intensivi (responsabili, tra l’altro, di maltrattamenti sugli animali, di utilizzo di antibiotici e di pesticidi, della produzione di una parte consistente dei gas serra e del consumo eccessivo di risorse idriche) né – tanto meno – dall’uccisione di animali. Si tratta semplicemente di una cultura di cellule animali (estratte tramite biopsia) e riprodotte con l’ausilio di bioreattori.
I detrattori
Sul piatto della bilancia di chi la carne sintetica non la vuole, pesano accuse di vario tipo. Tra queste, i rischi per la biodiversità, ma anche la perdita di posti di lavoro o la mancanza di sostanze nutrienti presenti nella “carne vera”. E c’è persino chi vede nella carne in provetta una possibile responsabile della propagazione della resistenza antimicrobica o dei tumori.
Carne sintetica, facciamo il punto
Accuse pesanti che inchiodano l’imputato a una gogna definitiva, tralasciando però di fare una doverosa considerazione: la ricerca sugli alimenti sintetici e sulla carne in particolare non è certo conclusa. Anzi: siamo ancora nel vivo della fase di sperimentazione, dove gli spazi di miglioramento sono tanti e così pure la possibilità di individuare correttivi e apportare aggiustamenti.
Per comprendere l’effettiva portata delle accuse rivolte alla carne sintetica e ai metodi produttivi adottati abbiamo incontrato Stefano Biressi e Luciano Conti, professori del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale ed Integrata dell’Università di Trento.
Sulla carne colturale girano tante voci, e la maggior parte non sono lusinghiere. Viene per esempio imputata di incrementare la resistenza antimicrobica, lo ritenete plausibile?
B. e C. - Onestamente no. All’interno del bioreattore, infatti, i processi sono estremamente controllati, con un monitoraggio continuo. La sterilità è quindi garantita e -ovviamente – in assenza di batteri non serve ricorrere agli antibiotici. E anche nel caso di una contaminazione batterica la soluzione sarebbe immediata e radicale: basterebbe isolare ed eliminare il lotto contaminato. Cosa impossibile, invece, in un allevamento tradizionale, dove le infezioni batteriche e virali non possono essere controllate con la medesima facilità.
Alla produzione di carne sintetica si imputa, tra le altre cose, il ricorso a feti di bovino…
B. e C. - Si tratta di una pratica adottata in passato e in alcuni laboratori ancora in uso come fattore di crescita delle cellule staminali. In una prima fase sperimentale ha fornito il suo apporto, ma sta progressivamente cadendo in disuso e - non dimentichiamolo – il ricorso ai feti non è previsto in alcun protocollo di produzione. Anche perché contrasterebbe platealmente con gli intenti bioetici che fondano questa sperimentazione. Ovvero la riduzione dello sfruttamento animale. Oggi, invece, si stanno sviluppando con successo colture cellulari con metodiche alternative: si può quindi affermare che dal punto di vista tecnologico le soluzioni sono già disponibili. Rimane solo il problema dei costi ancora molto elevati.
Quindi il riferimento ai feti è pretestuoso?
B. e C. - Diciamo pure che ci si appiglia a tecnologie sempre più desuete, per inficiare le potenzialità della ricerca attuale. Un po’ come se denigrassimo i treni ad alta velocità perché il loro antenato a carbone era fortemente inquinante, ignorando che si tratta di una tecnologia ormai dismessa, ma che a suo modo è stata propedeutica ed essenziale all’ evoluzione tecnologica successiva… Siamo del parere che la ricerca non vada demonizzata e stoppata tout court. Sarebbe più giusto che gli stake holder coinvolti si mettessero intorno a un tavolo per discuterne (magari dando ascolto alle sensibilità animaliste, oggi tenute sullo sfondo), garantiti dall’esistenza delle autorità preposte al controllo e delle specifiche tutele normative.
Sono state chiamate in causa anche la proteina P53 e la sua azione antitumorale: le colture staminali - ventila qualcuno -potrebbero creare degli squilibri.
B. e C. - Innanzitutto, non è detto che tutti i protocolli produttivi prevedano un’inibizione della P53. Detto questo, vanno valutati altri aspetti: in primis il fatto che la carne colturale è destinata all’alimentazione, quindi alla cottura. E questo annullerebbe qualsiasi rischio tumorogenico. Inoltre, l’inibizione della P53 non innesca automaticamente una degenerazione cellulare, devono concorrere altri fattori. Anche in questo caso assistiamo a una generalizzazione un po’ terroristica.
La carne sintetica, dicono, non ha il medesimo apporto nutritivo di quella tradizionale…
B. e C. - E se anche fosse? Non è mica detto che la “carne vera” faccia bene in tutto e per tutto. Magari ha dei componenti poco salutari… A parte la boutade (ma anche no), l’obiettivo è quello di creare un prodotto alternativo in tutto e per tutto alla carne. Forse non ci si è ancora riusciti. Ma qual è il problema? Siamo ancora in fase sperimentale. L’imperfezione non può diventare un capo d’accusa di un processo, la condanna della sperimentazione. Con il tempo si potrebbe arrivare persino a un prodotto migliore… Oggi, basterebbe essere chiari con un labelling efficace che spieghi ai consumatori cosa hanno di fronte, per lasciare ad essi la libertà di scelta...
Niente di trascendentale, dopo tutto. Accade già con le sigarette…
B. e C. - Appunto. E in quel caso non c’è neanche l’obiettivo di fare del bene all’ambiente. Anzi. Eppure, il prodotto è in vendita e si può scegliere liberamente…
Un po’ amareggiati?
B. e C. -Senza dubbio. L’Italia rischia di restare fuori. Trovare alternative nei prodotti sintetici è un’esigenza globale, che non si arresterà per il veto italiano. La ricerca proseguirà altrove e chi ha maturato il know how in Italia molto probabilmente sarà costretto ad esportarlo all’estero: là dove è più apprezzato…
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