Gatti
01 Ottobre 2025Un’indagine dell’Università di Edimburgo rivela sorprendenti analogie tra la demenza felina e il morbo di Alzheimer umano. I gatti diventano un modello naturale per sviluppare terapie più efficaci

I gatti anziani possono sviluppare forme di demenza molto simili all’Alzheimer umano, con accumulo di beta-amiloide nelle sinapsi e sintomi sovrapponibili, come confusione, disturbi del sonno e cambiamenti comportamentali. È quanto emerge da uno studio dell’Università di Edimburgo, pubblicato sull’European Journal of Neuroscience, che potrebbe aprire nuove strade nella ricerca sulle malattie neurodegenerative e offrire soluzioni sia per la medicina umana che per quella veterinaria.
Gli studiosi della Royal School of Veterinary Studies dell’Università di Edimburgo hanno analizzato il tessuto cerebrale di 25 gatti, alcuni dei quali presentavano in vita sintomi di demenza, come confusione, disturbi del sonno e aumento della vocalizzazione. L’esame post-mortem ha rivelato la presenza di beta-amiloide, la stessa proteina tossica che si accumula nel cervello dei pazienti umani affetti dal morbo di Alzheimer.
La scoperta è stata definita un “modello naturale perfetto per l’Alzheimer” dagli scienziati, poiché ritengono che ciò li aiuterà a individuare nuovi trattamenti per gli esseri umani.
Il dottor Robert McGeachan, responsabile dello studio, ha dichiarato: “La demenza è una malattia devastante, che colpisce esseri umani, gatti e cani. I nostri risultati evidenziano le sorprendenti somiglianze tra la demenza felina e il morbo di Alzheimer negli esseri umani. Questo apre le porte alla possibilità di valutare se nuovi promettenti trattamenti per il morbo di Alzheimer umano possano aiutare anche i nostri animali domestici anziani”.
I gatti coinvolti nello studio presentavano manifestazioni molto specifiche, tra cui confusione negli ambienti familiari, disturbi del ciclo sonno-veglia, aumento dei miagolii e cambiamenti improvvisi nel comportamento. Si tratta degli stessi segnali che caratterizzano le fasi iniziali della demenza negli esseri umani.
I felini domestici sviluppano questi cambiamenti spontaneamente, senza alcuna manipolazione genetica, a differenza dei roditori da laboratorio oggi utilizzati dai ricercatori. Ciò li rende un modello molto più fedele alla realtà della patologia umana. Per decenni, invece, i ricercatori hanno studiato topi geneticamente modificati, animali che in natura non sviluppano forme di demenza. Osservare un processo patologico che si manifesta in modo spontaneo offre informazioni più attendibili sui meccanismi biologici alla base della malattia.
“Poiché i gatti sviluppano naturalmente questi cambiamenti cerebrali, potrebbero anche offrire un modello più accurato della malattia rispetto ai tradizionali animali da laboratorio, con conseguenti benefici sia per la specie che per chi si prende cura di loro”, ha affermato il dottor McGeachan.
L’analisi dei tessuti cerebrali dei gatti, che avevano mostrato sintomi di demenza felina, ha rivelato un accumulo di beta-amiloide all’interno delle sinapsi.
I ricercatori hanno quindi trovato prove che le cellule di supporto del cervello, astrociti e microglia, inglobano le sinapsi colpite, un fenomeno noto come potatura sinaptica. Si tratta di un meccanismo fisiologico durante lo sviluppo del cervello, quando l’organismo elimina le connessioni neuronali meno efficienti; nel caso della demenza, però, questo processo diventa eccessivo e contribuisce alla progressiva perdita delle capacità cognitive.
Lo studio, finanziato da Wellcome e dall’UK Dementia Research Institute, rappresenta un punto di svolta per due motivi: offre alla medicina umana un modello di ricerca più accurato per testare nuove terapie contro l’Alzheimer; apre possibilità concrete di trattamento anche per i gatti anziani che soffrono di questa condizione.
La professoressa Danielle Gunn-Moore, esperta di medicina felina coinvolta nel progetto, ha affermato che la scoperta potrebbe aiutare a comprendere e gestire la demenza felina. Comprendere i meccanismi biologici alla base del disturbo significa, infatti, poter sviluppare strategie terapeutiche mirate.
“La demenza felina è angosciante per il gatto e per chi lo possiede. È intraprendendo studi come questo che capiremo come trattarla al meglio. Sarà meraviglioso per i gatti, i loro proprietari, le persone affette da Alzheimer e i loro cari” ha detto Gunn-Moore.
Il lavoro si inserisce in un contesto di ricerca globale che cerca risposte a una delle sfide sanitarie oggi più pressanti. La possibilità di utilizzare gatti come “modello naturale” potrebbe accelerare la sperimentazione di farmaci innovativi, riducendo i tempi necessari a valutarne l’efficacia.
I felini domestici condividono con gli esseri umani non solo i meccanismi patologici, ma anche un’aspettativa di vita crescente, che rende sempre più frequenti malattie legate all’invecchiamento. Una convergenza biologica che trasforma gli animali da compagnia in preziosi alleati della ricerca, con benefici reciproci che potrebbero tradursi in terapie più efficaci per entrambe le specie.
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