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25 Ottobre 2024Un focolaio di encefalo-retinopatia virale sta causando la morte di numerose cernie nelle acque del Sud Italia e del Mediterraneo. Gli esperti avvertono: l’aumento delle temperature marine può aggravare l’epidemia
Il Betanodavirus, un virus a RNA che causa encefalo-retinopatia virale, è stato identificato come responsabile dell’epidemia tra le cernie nelle acque del Sud Italia. Negli ultimi mesi, infatti, un numero crescente di pesci è stato segnalato morto lungo le coste di Puglia, Calabria e Sicilia, oltre che nelle acque del Sud della Spagna e delle isole Baleari. Gli esperti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IzsVe) e dell’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno (IZSM) avvertono che l’innalzamento delle temperature marine potrebbe aumentare la patogenicità del virus, rendendo ancora più gravi gli effetti sull’ecosistema marino.
Il Betanodavirus è un piccolo virus a RNA, agente patogeno responsabile dell’encefalo retinopatia virale. Da molti anni è presente nel Mediterraneo, dove infetta numerose specie ittiche, sia allevate che selvatiche. Alcune di queste, come spigole e cernie, sembrano essere particolarmente suscettibili e la malattia si manifesta con una mortalità elevata.
Il virus colpisce principalmente i tessuti nervosi (cervello, midollo spinale e retina) dei pesci alterandone la capacità di nuoto e di visione. Molto spesso i pesci malati presentano lesioni cutanee (desquamazione ed escoriazioni) e oculari (cheratiti, panoftalmiti), e sono ritrovati a galleggiare a pelo d’acqua.
Negli ultimi giorni, lungo tutto il Sud Italia è stata registrata un’ondata di casi anomala. Diverse pecie ittiche come la cernia bianca, la cernia canina, il pesce civetta e il pesce balestra sono state trovate morte in gran numero, suscitando allarme e preoccupazione tra i pescatori e i non addetti al settore.
Grazie alla collaborazione con il prof. Antonio Terlizzi, professore ordinario di zoologia presso il Dipartimento di scienze della vita dell’Università di Trieste e direttore del Dipartimento di ecologia marina integrata della Stazione Zoologica di Napoli, numerosi soggetti di cernia (Epinephelus spp.) pescati morti o morenti lungo le coste pugliesi sono stati analizzati dal Laboratorio di ittiovirologia dell’IzsVe, che ha confermato la diagnosi della virosi escludendo nel contempo altre cause di mortalità.
La dott.ssa Anna Toffan, responsabile del Laboratorio nonché responsabile del Laboratorio di referenza WOAH per questa malattia, grazie ad una estesa rete di contatti nel Mediterraneo, da anni monitora questi fenomeni.
“I primi casi di mortalità di cernie selvatiche a causa dell’encefalo retinopatia virale in Italia risalgono agli anni ’90 e negli anni seguenti le segnalazioni si sono susseguite in diversi paesi Europei e Nord Africani con sempre maggior frequenza” ha spiegato Toffan. “Ad aggravare il fenomeno contribuisce l’aumento delle temperature del mare. Il virus, infatti, si attiva e aumenta la sua patogenicità a temperature superiori i 25°C. Non a caso le mortalità si osservano sempre a fine estate. E anche quest’anno le segnalazioni seguono un periodo particolarmente prolungato di caldo, che ha fatto registrare per giorni temperature dell’acqua oltre i 32°C. Il virus non è pericoloso per i mammiferi, uomo incluso,– ha aggiunto la dottoressa – ma ha sicuramente un importante impatto sull’ambiente e sulla biodiversità, colpendo soggetti di tutte le taglie ed età di specie protette come la cernia bruna”.
Il dottor Fabio Di Nocera, responsabile dell’Unità Operativa di Ittiopatologia dell’Izsum, a proposito del contagio di altre specie, come il pesce civetta e il pesce balestra, ha dichiarato: “Questo solleva il sospetto di un possibile salto di specie, fenomeno che potrebbe complicare ulteriormente la gestione del focolaio. Lo stress termico legato al riscaldamento delle acque – ha sottolineato – facilita l’insorgenza della malattia, e ciò è particolarmente allarmante visto che anche pesci adulti, generalmente più resistenti, ne sono stati colpiti”.
L’Izsm è attivo sul territorio e collabora con le Aziende Sanitarie Provinciali calabresi, conducendo analisi per limitare i danni all’ecosistema marino. Sebbene il consumo di pesci infetti non rappresenti una minaccia per l’uomo, il rischio per gli allevamenti ittici è molto elevato, con possibili gravi ripercussioni economiche.
CITATI: ANNA TOFFAN, ANTONIO TERLIZZI, FABIO DI NOCERASe l'articolo ti è piaciuto rimani in contatto con noi sui nostri canali social seguendoci su:
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