Professione
13 Ottobre 2022 Tutta la filiera è in affanno: la crisi energetica si ripercuote a cascata. E per il futuro si ipotizza un calo strutturale della domanda di farmaci. Timori per le conseguenze sugli animali.
Crisi energetica, costi alle stelle, spettro recessione e criticità negli approvvigionamenti internazionali: in che misura è penalizzato il settore chimico farmaceutico?
Lo abbiamo chiesto a Roberto Cavazzoni, Direttore Federchimica AISA.
“La spesa energetica – esordisce Cavazzoni - è praticamente triplicata per quelle aziende più virtuose che utilizzano sistemi di coogenerazione e impianti fotovoltaici, mentre è quasi quintuplicata per le imprese ad approvvigionamento “standard”. Guardando più da vicino il settore chimico farmaceutico, se parliamo di principi attivi (API) il quadro è molto variegato, si notano aumenti significativi che in alcuni casi raggiungono il 100%. C’è poi il problema della difficile reperibilità di determinate categorie di API, senza tralasciare che molti fornitori stanno richiedendo il pagamento anticipato, una richiesta che per le imprese significa minore disponibilità di liquidità. Il problema non riguarda però solo gli API, ma anche gli eccipienti con costi alle stelle e/o introvabili, parliamo di sostanze semplici e di uso comune come l’acido citrico o il glicole. In questo quadro, i costi di trasporto, soprattutto internazionali, sono aumentati in modo esponenziale e tutti i corrieri applicano il fuel surcharge. Infine, è importante tenere presente che la debolezza dell'euro non aiuta in quanto sia gli API sia l'energia dipendono in gran parte dal dollaro”.
Quali le previsioni per i prossimi mesi?
“Per i costi energetici si prevede un peggioramento. Addirittura, si ipotizza che qualche fornitore possa non essere più in grado di erogare energia in quanto non avrebbe più la liquidità finanziaria necessaria ad acquistarla sui mercati internazionali; questa mancanza di liquidità è dovuta alle vendite effettuate in perdita che erano state contrattate a prezzo fisso nel passato. Unica nota positiva per il settore farmaceutico, umano e veterinario, è che da sempre viene considerato essenziale e pertanto dovrebbe essere escluso da eventuali razionamenti”.
I possibili scenari?
“Si ipotizza che circa il 10% delle aziende zootecniche chiuderà entro il 2022 e che le altre riducano il numero degli animali presenti a causa degli insostenibili costi energetici e alimentari. Nel settore animali da compagnia, prevediamo che la spesa per i pet calerà sicuramente a causa dell’elevata inflazione che sta erodendo il potere d’acquisto delle famiglie. Bisogna tenere inoltre presente che questa riduzione della domanda di farmaci perdurerà nel tempo e sarà difficile in futuro tornare agli stessi numeri di presenze animali che oggi abbiamo in Italia negli allevamenti. Ci auguriamo poi che questa fase di turbolenza non generi il triste fenomeno dell’abbandono degli animali da compagnia”.
Quali le conseguenze ipotizzabili sul settore più strettamente di nostra competenza, ovvero il farmaceutico veterinario?
“Questa crisi generale viene a sommarsi alle sofferenze croniche del nostro settore dovute a burocrazie, incertezze applicative, nuovi regolamenti, continua stretta sull’utilizzo dei farmaci. Continuerà il processo di concentrazione industriale tramite “merger&acquisition” che si rifletterà in una selezione e riduzione dell’offerta di prodotti, nonché di riduzione di posti di lavoro”.
Per poter far fronte a tale situazione, quali richieste?
“Per quanto riguarda l’energia, le nostre richieste sono allineate a quelle di tutti gli altri settori, se parliamo invece di peculiarità dell’industria del farmaco veterinario abbiamo bisogno di semplificazioni burocratiche, chiarezza e uniformità applicative su tutto il territorio nazionale e una maggiore attenzione da parte della politica per un settore piccolo ma essenziale in una strategia One Health”.
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