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31 Gennaio 2022 Il Regolamento 2019/6 ha tra i suoi obiettivi la limitazione al ricorso alle cure antibiotiche. E negli ultimi anni anche la professione veterinaria ha compiuto grandi sforzi per ridurre la necessità dell'uso di antimicrobici negli animali d'allevamento. Tuttavia, in determinate situazioni la metafilassi potrebbe essere inevitabile. Un sondaggio per capire la realtà degli allevamenti
Il nuovo regolamento (CE) 2019/6 stabilisce che gli antimicrobici come metafilassi dovrebbero essere utilizzati solo quando il rischio di diffusione di una malattia batterica contagiosa è elevato e non sono disponibili altre alternative appropriate. La colistina, spesso usata per la metafilassi, è stata classificata dall'OMS come antibiotico di massima priorità, sottolineando il suo uso in medicina veterinaria. La FVE sostiene con forza i principi della stewardship antimicrobica e dell'uso responsabile, ma ritiene che alcune indicazioni richiedano inevitabilmente il trattamento dell'intero gruppo di animali da allevamento per mantenere efficacemente la salute e il benessere degli animali. Un'ulteriore restrizione ingiustificata nella disponibilità di antibiotici veterinari destinati alla medicazione del gruppo di animali, o della mandria può risultare in un divieto pratico di un trattamento efficace tramite metafilassi negli allevamenti. Per valutare l’esperienza sul campo dei professionisti, la FVE ha preparato un sondaggio multilingue, con cui raccogliere l'esperienza del mondo reale riguardo alla metafilassi con un'enfasi speciale sull'uso della colistina. Il suo obiettivo è quello di ottenere informazioni sulle indicazioni più frequenti per il trattamento di gruppo metafilattico, indagare possibili strategie alternative e identificare le lezioni apprese.
La metafilassi- definizione
Il Regolamento 2019/6 – supportato dall’EMA – la definisce come la "somministrazione di un medicinale a un gruppo di animali dopo che è stata stabilita una diagnosi di malattia clinica in una parte del gruppo, con l'obiettivo di curare gli animali clinicamente malati e controllare la diffusione della malattia ad animali a stretto contatto e a rischio e che potrebbero essere già infetti in modo subclinico”.
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