Animali da Reddito
18 Gennaio 2024 Il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate patrono degli animali, ricorre la giornata dell’allevatore. Mentre l’economia degli animali domestici è in crescita, negli ultimi dieci anni ha chiuso quasi una stalla su cinque
Negli ultimi dieci anni il 20% delle stalle italiane, una ogni cinque, ha chiuso a causa dell’effetto combinato di cambiamento climatico, bassi prezzi pagati agli allevatori e perdite causate dagli animali selvatici. È quanto emerge dal rapporto “La Fattoria Italia a rischio crack” diffuso da Coldiretti e Associazione Italiana Allevatori (Aia) in occasione della giornata dell’allevatore.
La giornata dell’allevatore
Il 17 gennaio ricorre Sant’Antonio Abate, patrono degli animali, e per l’occasione in tutta Italia gli allevatori portano una moltitudine di esemplari in piazza per la tradizionale benedizione degli animali. Quest’anno, in Piazza San Pietro a Roma, erano presenti anche Ettore Prandini, Presidente Coldiretti, e Roberto Nocentini, Presidente Aia, accompagnati da diverse razze, dalle capre girgentana e monticellana ai bovini di razza chianina, frisona e marchigiana, dal cavallo tolfetano all’asino amiatino, fino alla pecora sarda.
Per l’occasione è stato pubblicato uno studio, La Fattoria Italia a rischio crack, che presenta gli ultimi dati dal mondo dell’allevamento, ripresi dall’Anagrafe nazionale zootecnica.
Il rapporto
La ricorrenza è stata l’occasione per parlare del mondo dell’allevamento, che registra numeri preoccupanti: negli ultimi dieci anni, infatti, ha chiuso una stalla italiana su cinque.
Dal 2013, nel giro di un solo decennio, sono scomparsi quasi 90mila allevamenti, di cui 46mila stalle di mucche, 31mila di maiali e 12mila di pecore. Le chiusure hanno riguardato soprattutto le montagne e le aree più interne, dove mancano ormai le condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori, spesso a causa dei bassi prezzi e per la concorrenza dei prodotti importati dall’estero. A pesare sono anche i cambiamenti climatici che, tra siccità ed eventi estremi, condizionano la produzione di mais e foraggi. Senza dimenticare la pressione degli animali selvatici, sempre più diffusi, che distruggono i raccolti rendendo ancora più difficile e costoso sfamare i capi allevati.
Inoltre, il venir meno della presenza di agricoltori e allevatori e della loro costante opera di manutenzione del territorio ha reso ancora più devastante l’effetto del dissesto idrogeologico, accentuando la tendenza all’abbandono dei piccoli centri con meno di 5mila abitanti; in un solo anno si è già registrato l’addio di oltre 35mila residenti.
In questo contesto, è a rischio la biodiversità delle stalle italiane che Aia e Coldiretti tutelano attraverso il progetto Leo (Livestock Environment Opendata), una grande banca dati sugli animali in pericolo con cui si stanno valorizzando 58 razze bovine (per un totale di 3 milioni e 130mila animali), 46 ovine (oltre 52mila) e 38 caprine (121.000).
Il fenomeno mette in pericolo anche l’intero patrimonio caseario nazionale, con 580 specialità casearie tra 55 Dop e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni.
L’allevamento italiano è un comparto economico importante: rappresenta il 35% dell’intera agricoltura nazionale, per una filiera che vale circa 40 miliardi di euro, con un impatto rilevante dal punto di vista occupazionale, dove sono circa 800mila gli occupati sull’intera filiera.
“Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate” ha ricordato Ettore Prandini.
Dalle stalle potrebbe arrivare un contributo importante alla produzione di energia, che aiuterebbe il Paese a diminuire la dipendenza energetica dall’estero. In un’ottica di economia circolare, infatti, i reflui degli allevamenti possono essere valorizzati nella produzione di biometano.
La pet economy
Secondo i dati Eurispes evidenziati da Coldiretti, regge invece la pet economy. Gli animali da compagnia, infatti, sono presenti in una casa su tre – in leggero calo rispetto al periodo della pandemia – con un giro annuo di affari intorno ai 3,5 miliardi di euro.
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