Dividere oneri e oneri: come funzionano le associazioni tra professionisti e come nel tempo accanto agli Studi associati si sono fatte spazio le STP
L’unione fa la forza. E sempre più spesso, anche in ambito professionale l’adagio si rivela sempre più vero. Per questo i giovani professionisti agli inizi della propria carriera potrebbero trovare interessante avviare un ambulatorio in associazione con altri professionisti. Giusto per dividere oneri e onori… Ma quali sono le forme associative praticabili per un giovane professionista iscritto all’Ordine? Essenzialmente due: la sua scelta può infatti ricade o sullo Studio associato o sull’Associazione tra professionisti (STP). Lo studio associato è stato per lungo tempo l’unica forma associativa autorizzata (ex legge 23 novembre 1939, n. 1815), in quanto basato esclusivamente sull’associazione tra soggetti regolarmente iscritti a un albo professionale, e comprendente nella denominazione il nome e il cognome di tutti gli associati (art. 1). Lo studio, privo di personalità giuridica assume rilievo solo nella suddivisione degli utili. Devono passare parecchi decenni perché si arrivi alla STP, ovvero alla Società tra professionisti disciplinata dall’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e dal successivo decreto attuativo (decreto del Ministero della Giustizia 8 febbraio 2013, n. 34). Grazie a tali interventi normativi, infatti, viene a cadere il divieto di costituire società per l’esercizio di professioni protette (regolamentate cioè da un ordine professionale), come precedentemente sancito invece dalla L. 1835/39. Oggi, quindi, è espressamente consentito costituire società tra professionisti, aventi per oggetto l'esercizio di professioni regolamentate in ordini professionali, permane però il divieto di partecipazione alla società da parte di professioni non protette (stesso divieto di ‘associazione mista’ sussiste anche per gli studi associati). Per gli esercenti una professione “non protetta” è però possibile partecipare a una Stp come soci “per prestazioni tecniche” o “per finalità di investimento”, a condizione che ai soci professionisti rimanga la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni.
Profili fiscali
In uno studio associato il reddito prodotto da un’associazione è inteso come reddito da lavoro autonomo (dunque non reddito di impresa) come regolato dall’articolo 5 del DPR n. 917/86. Ogni studio associato deve presentare la propria dichiarazione dei redditi ed è soggetto al pagamento dell’IRAP; ogni associato, invece, sarà soggetto a tassazione IRPEF, in proporzione al reddito prodotto all’interno dell’associazione. La STP, invece, può assumere diverse forme giuridiche: società di persone (società semplici, società in nome collettivo, società in accomandita semplice), società di capitali (società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni) oppure società cooperative. Ai fini fiscali, il reddito prodotto dalle STP è da considerarsi reddito d’impresa così come previsto dagli articoli 6, comma 3 e 81 del T.U.I.R. con la conseguente applicazione del principio di competenza e non quello di cassa. Nel caso un professionista o uno studio associato decidessero di apportare o trasformare la propria attività professionale in una STP, le operazioni – in entrambi i casi – sarebbero equiparabili a un’operazione di conferimento, costituirebbero, quindi, un’operazione fiscalmente rilevante.
E l’INAIL?
Sulla tutela assicurativa antinfortunistica dell’INAIL per gli studi professionali associati, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza del 21 novembre 2019, n. 30428 si è espressa chiaramente affermando che si tratta di una libera scelta del singolo professionista non di un obbligo, se non viene svolta attività manuale. Interpretazione simile viene caldeggiata anche dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato alla Direzione Generale Inail parere contrario in merito agli obblighi assicurativi per i soci delle Società tra professionisti.
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