Alert sanitari
13 Marzo 2024 Il virus dell’influenza aviaria H5N1 è sempre più diffuso tra la fauna selvatica del Sud America, dove i casi sono probabilmente sottostimati. Con una così alta diffusione aumenta il rischio di trasmissione ai mammiferi e di conseguenza anche all’uomo
In Sud America, il virus dell’influenza aviaria H5N1 si continua a diffondere, aumentando il rischio che diventi una minaccia anche per gli esseri umani. La malattia, un tempo limitata alle specie di uccelli, sembra che stia ora colpendo diversi mammiferi. Questo ceppo ha già ucciso dei delfini in Cile e Perù, circa 50.000 foche e leoni marini lungo le coste e almeno mezzo milione di uccelli in tutta la regione.
La situazione
Il virus dell’influenza aviaria H5N1 ha iniziato a diffondersi in modo molto più aggressivo tra gli uccelli selvatici e i mammiferi marini da quando è arrivato in Sud America nel 2022. Con la sua diffusione, secondo gli esperti, aumenta anche il rischio per gli esseri umani. La malattia, infatti, dopo essere stata a lungo limitata alle specie di uccelli, ha iniziato a diffondersi in diverse specie di mammiferi, tra cui delfini, foche e leoni mammiferi.
Non ci sono ancora evidenze che la trasmissione sia avvenuta da un mammifero a un altro mammifero, poiché gli scienziati dovrebbero testare direttamente le infezioni sugli animali vivi. Tuttavia, alcuni ricercatori propendono per questa ipotesi.
“È quasi certamente successo” ha detto Richard Webby, virologo del St. Jude’s Children’s Research Hospital di Memphis (Tennessee). “È piuttosto difficile spiegare alcune di queste grandi infezioni e la loro morte senza una diffusione da mammifero a mammifero”.
Il ceppo sudamericano è stato rilevato in dozzine di specie di uccelli, comprese alcune migratorie, che possono facilmente diffonderlo oltre la regione. A causa dell’intensificarsi del cambiamento climatico, gli animali infetti si sposteranno in nuovi territori, mescolandosi tra loro in nuovi modi e aumentando probabilmente le opportunità per il virus di mutare.
“È questione di tempo prima che si rilevi il primo ceppo sudamericano nel Nord America” ha dichiarato Alonzo Alfaro-Nunez, ecologo virale dell’Università di Copenaghen.
I rischi per l’uomo
I 35 paesi dell’Organizzazione Panamericana della Sanità (Pan American Health Organization, Paho) hanno convocato un incontro a Rio De Janeiro con esperti e funzionari sanitari regionali. Il gruppo prevede di lanciare la prima commissione regionale al mondo per supervisionare le attività di monitoraggio dell’influenza aviaria e gli sforzi messi in campo per rispondervi.
Da quando il virus è stato rilevato per la prima volta in Colombia, nell’ottobre 2022, si sono registrati due casi noti nell’uomo, uno in Ecuador e uno in Cile. Per entrambi c’era stata un’esposizione a uccelli infetti e anche se i due pazienti sono sopravvissuti, l’influenza aviaria H5N1 è mortale per l’uomo in circa il 60% dei casi.
La World Health Organization (Who) molto probabilmente non aumenterà il livello di rischio per gli esseri umani – attualmente è “basso” – senza la certezza di prove di trasmissione da un uomo a un altro uomo o di mutazioni adattate ai recettori umani.
Nel frattempo, alcune case farmaceutiche come GSK e Moderna hanno dichiarato di stare sviluppando vaccini contro l’influenza aviaria a uso umano, con la capacità di produrne centinaia di milioni di dosi in pochi mesi.
“Vediamo compiere piccoli passi evolutivi a lungo termine verso una potenziale infezione umana” ha commentato Ralph Vanstreels, un ricercatore dell’Università della California, Davis, che studia le varianti sudamericane del virus H5N1.
Il caso dell’Argentina
Ogni anno sulla penisola di Valdes, una riserva naturale in Argentina, si riuniscono migliaia di elefanti marini per allevare i propri cuccioli. A novembre 2023, Vanstreels e altri scienziati che tracciano le mutazioni genetiche del virus in Sud America, hanno trovato sulla spiaggia centinaia di cuccioli morti e in stato di decomposizione. Secondo le stime, erano circa 17.400, quasi tutti nati nella colonia di quell’anno. È altamente improbabile che ciascun cucciolo sia stato infettato dagli uccelli. Questi di solito hanno contatti solo con le proprie madri, dalle quali molto probabilmente si è diffuso il virus.
Una bozza di studio pubblicata dal Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, Cdc) ha analizzato diversi campioni di leoni marini, foche e uccelli provenienti dalla costa della penisola di Valdes. Confrontando i genomi di questi con campioni raccolti in Nord America nel 2022 e precedentemente in Asia, il gruppo di ricerca ha identificato nove nuove mutazioni. Le stesse mutazioni sono state trovate anche nei campioni raccolti nel 2022 e nel 2023 in Cile e Perù.
“Questa è la prima volta che questo virus si adatta così bene alla fauna selvatica” ha detto Vanstreels. “Chiaramente è successo qualcosa in Perù e nel nord del Cile, dove hanno acquisito queste nuove mutazioni”.
Nel documento, i ricercatori hanno notato che le stesse mutazioni erano presenti anche in uno dei due casi umani registrati nel continente, un uomo di 53 anni che viveva a un isolato dalla riva del mare dove si riunivano gli uccelli marini.
Gestire la malattia
I dati frammentari e le limitate risorse della regione hanno lasciato gli scienziati in difficoltà nel comprendere come la malattia si stia diffondendo in natura, con un numero di casi probabilmente molto più elevato di quanto riportato per la mancanza di campioni testati in laboratorio.
In Bolivia, per esempio, non è stato registrato alcun caso in natura lo scorso anno, sebbene la malattia sia stata rilevata nei Paesi circostanti, come sottolinea Manuel Jose Sanchez Vazquez, coordinatore epidemiologico del centro sanitario veterinario della Paho.
Gestire la risposta alla malattia può risultare assai complesso: i funzionari della sanità pubblica gestiscono le minacce per gli esseri umani; le autorità agricole o veterinarie quelle per pollame o bestiame; infine, per quanto riguarda gli animali selvatici, la competenza ricade sui funzionari ambientali. L’obiettivo della nuova commissione regionale è stabilire dei protocolli standard per il monitoraggio, la gestione e la segnalazione dei casi tra le varie agenzie governative; potrebbe rivelarsi utile anche mettere in comune le risorse di laboratori.
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