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22 Dicembre 2022

Xenostrasfusione nel gatto, i pro e contro spiegati da Eva Spada

Procedura utile in situazioni emergenziali, quando può realmente fare la differenza fra la vita e la morte, la xenotrasfusione non è però del tutto esente da rischi e di questo va sempre informato il proprietario del paziente.

di C. Ignaccolo


Xenostrasfusione nel gatto, i pro e contro spiegati da Eva Spada

Emorragie, avvelenamenti, infezioni, neoplasie: sono molteplici le indicazioni alla trasfusione di sangue. Uno l’obiettivo precipuo: reintegrare il sangue perso. E ciò è possibile anche quando donatore e ricevente appartengono a due specie diverse. In questo caso si parla allora di xenotrasfusione. Sulle potenzialità di questa procedura e sulle sue applicazioni nel gatto, abbiamo chiesto un approfondimento alla professoressa Eva Spada.

“La prima xenotrasfuzione – ci spiega - è stata realizzata nel 1667 in un ragazzo di 15 anni con febbre, trasfuso utilizzando sangue di pecora. In medicina umana quindi, le xenotrasfusioni hanno preceduto temporalmente la realizzazione delle allotrasfusioni, ovvero le trasfusioni con sangue umano, che iniziarono solo a partire dal 1818, qualche secolo prima della scoperta dei gruppi sanguigni umani di sistema AB0 da parte di Karl Landsteiner”.  

Perché la xenotrasfusione è utilizzata nel gatto?

In medicina veterinaria questa pratica è stata utilizzata già a partire dagli anni ‘60 per trasfondere sangue di cane nel gatto, ma ancora oggi si fa ricorso alla xenotrasfusione nel gatto, perché in questa specie non è sempre facile ottenere sangue da trasfondere. La piccola mole dei gatti, la loro indole spesso irrequieta e intollerante alla manualità, le numerose malattie infettive trasmissibili con il sangue, la peculiarità del principale sistema di gruppo sanguigno, il sistema AB e l’esistenza di gruppi sanguigni che non è possibile testare, sono solo alcuni dei motivi per i quali non è facile trovare donatori di sangue della specie felina idonei rispetto a quanto avviene nel cane. In quest’ultimo infatti, la possibilità di fare donare cani di grande taglia con peso superiore a 25 kg, l’esistenza di razze canine con indole particolarmente pacifica e ottimo accesso venoso e la possibilità di usare materiale ad uso umano per realizzare una donazione, sono fattori che facilitano la realizzazione di vere e proprie banche del sangue, nelle quali è possibile conservate unità di sangue intero o di emocomponenti come plasma o concentrato di globuli rossi di diverso gruppo sanguigno, prontamente disponibili per le esigenze della medicina d’urgenza, per trattare pazienti affetti da gravi quadri anemici conseguenti a traumi, malattie infettive, neoplastiche o ad avvelenamenti.

Quali sono i vantaggi della xenotrasfusione nel gatto?

La maggior parte dei gatti necessita di un’unità di sangue di circa 50-60 ml per migliorare lo stato di anemia, volume che rappresenta classicamente un’unità di sangue felino e il massimo volume sanguigno che un gatto medio sano di 5 kg possa donare (circa il 20% del suo volume sanguigno totale). Un cane sano di 25 kg può donare in sicurezza un’unità ematica corrispondente a 450 ml, con la quale in teoria si potrebbero trasfondere fino a 8 gatti. Il gatto inoltre non ha alloanticorpi preformati verso gli antigeni di gruppo sanguigno del cane, anticorpi che tra gatti incompatibili, in particolare se di gruppo sanguigno B, possono dare luogo a gravi reazioni trasfusionali mortali anche quando vengono trasfuse limitate quantità di sangue incompatibile, pari anche ad 1 ml di sangue di gruppo A in un gatto B. Infine, i gatti di gruppo B sono molto rari nella popolazione felina (rappresentano circa il 10% della popolazione), quindi quando un gatto di questo raro gruppo richiede una trasfusione, soprattutto in urgenza, è veramente difficile trovare del sangue compatibile, anche presso le banche del sangue veterinarie. In queste situazioni di reale emergenza, quando una trasfusione può fare la differenza tra la vita e la morte del paziente, il sangue canino può essere una risorsa preziosa per il trattamento trasfusionale.  

E gli svantaggi?

Se da un lato questo tipo di intervento può salvare la vita di pazienti felini in particolari situazioni, bisogna ricordare che non è scevro da rischi. La prima limitazione legata alla trasfusione di sangue di cane ad un gatto è la sopravvivenza dei globuli rossi trasfusi che servono per trattare l’anemia. La sopravvivenza dei globuli rossi di cane trasfusi in un gatto è ridotta a 3-5 giorni rispetto alla sopravvivenza media di 30-35 giorni dei globuli rossi trasfusi tra gatti di gruppo sanguigno compatibile. Quindi il beneficio della xenotrasfusione di sangue di cane in un gatto è temporalmente molto limitato e serve solo per stabilizzare il paziente nell’attesa di trovare sangue compatibile o identificare la causa dell’anemia per instaurare il trattamento specifico volto a risolverla. Il secondo svantaggio della xenotrasfusione tra cane e gatto è che dopo la prima trasfusione di sangue canino, il gatto viene sensibilizzato e produce anticorpi verso gli antigeni dei globuli rossi di cane e quindi una seconda trasfusione con sangue di cane può dar luogo a reazioni trasfusionali che invalidano la sua efficacia e talvolta sono di gravità tale da portare a morte il paziente. Tutto questo sottolinea come il ricorso al sangue di cane in medicina trasfusionale felina dovrebbe avvenire solo in situazioni di reale emergenza, nella quali si devono comunque sempre soppesare rischi e benefici di questa procedura ed è necessario informare il proprietario del gatto dell’efficacia limitata di questo intervento.  

Quali altri esempi di xenotrasfusione abbiamo in medicina veterinaria?

Tale procedura in medicina veterinaria non è stata realizzata solo tra cani e gatti. In letteratura sono stati descritti interventi trasfusionali con esito positivo trasfondendo sangue felino nel furetto e nel coniglio, sangue canino nella volpe e sangue bovino negli ovicaprini.  Il principio alla base di queste trasfusioni è spesso lo stesso: il donatore è sempre di una specie di mole nettamente superiore a quella del ricevente, nel quale la donazione dell’unità di sangue necessaria all’esigenza del donatore è una procedura, che per i ridotti volumi, è scevra da gravi rischi. Di recente è stata anche valutata la possibilità di trasfondere sangue umano a cani impegnati nelle missioni di guerra, ma i risultati evidenziati dalle prove in vitro sconsigliano questa xenotrasfusione, a causa degli elevati gradi di incompatibilità tra sangue umano e canino.  



La professoressa Eva Spada è medico veterinario e professore associato presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Animali dell’Università degli Studi di Milano, e Specialista in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione. Negli anni ha maturato vasta esperienza nell’attività clinica specialistica in medicina felina (Ospedale Universitario Veterinario dell’Università degli Studi di Milano) e in medicina trasfusionale del cane e del gatto (Reparto di ricerca in medicina Emotrasfusionale Veterinaria–REVLab). Per la sua attività di ricerca in medicina interna, medicina emotrasfusionale e di laboratorio del cane, gatto e degli animali non convenzionali, collabora con gruppi di studio internazionali e negli anni ha ottenuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Membro del comitato editoriale della rivista internazionale open access Pathogens, vanta anche altre numerose collaborazioni con numerose riviste scientifiche.

TAG: INTERVISTA, INTERVISTA VET33, XENOTRASFUSIONE

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