Animali da Compagnia
03 Luglio 2024Non esiste un approccio unico per vaccinare cani e gatti, ma il protocollo deve essere personalizzato. Quali variabili si devono considerare nella scelta di un vaccino? La prof.ssa Dall’Ara spiega di cosa tener conto, dal tipo di vaccino alla frequenza dei richiami, dallo stile di vita alle condizioni di salute dell’animale
Negli ultimi 20 anni nella pratica vaccinale veterinaria ci sono stati notevoli cambiamenti. In passato, infatti, era prassi comune vaccinare ogni anno cani e gatti applicando lo stesso protocollo a tutti i pazienti che varcavano la soglia della struttura veterinaria, utilizzando vaccini che contenevano più valenze possibili. Oggi, invece, è ormai assodato che tale approccio non può più essere applicato indiscriminatamente. La vaccinazione è un atto veterinario che deve essere progettato su misura per ogni pet in base alle esigenze del singolo paziente, cane o gatto che sia, e fornito come parte di un programma di medicina preventiva.
Come fare a trovare il vaccino più adatto? Che cosa occorre considerare nella scelta? Lo spiega la professoressa Paola Dall’Ara nella nuova edizione del volume Vaccini e vaccinazioni degli animali da compagnia.
Innanzitutto, occorre tenere a mente che non esiste un vaccino one size fits all (taglia unica) che vada bene per tutti i cani e per tutti i gatti: il protocollo vaccinale deve essere tailored (tagliato su misura) per le diverse tipologie di pazienti da vaccinare. I vaccini raccomandati e la frequenza delle vaccinazioni variano in base allo stile di vita degli animali da vaccinare (indoor/outdoor, viaggi, pensioni) e a eventuali malattie sottostanti (condizioni immunomediate) o infezioni preesistenti (infezione da FIV).
Dal momento che questi fattori possono cambiare nel tempo, il piano vaccinale per ogni individuo deve essere deciso insieme al proprietario al momento della visita annuale a seguito di una discussione tra il medico veterinario e il cliente in merito allo stile di vita dell’animale previsto per l’anno a venire.
Anche una precedente storia di reazioni avverse alla vaccinazione influenza le raccomandazioni per la vaccinazione di ogni animale. Ogni volta che si esegue una vaccinazione, è opportuno riportare sul libretto vaccinale e nella cartella clinica dell’animale il prodotto utilizzato, la data di scadenza, il numero di lotto, la via di somministrazione, il sito di inoculo e qualsiasi altra informazione utile per le vaccinazioni successive (come un’eventuale reazione avversa).
Bisogna sempre considerare che non obbligatoriamente il cane o il gatto verrà portato sempre e solo dallo stesso veterinario, e di conseguenza qualsiasi notizia utile della sua storia vaccinale, soprattutto in caso di reazioni avverse, dovrà essere riportata sul libretto e sarà preziosa per il collega che dovrà occuparsi dell’animale e lo dovrà rivaccinare.
Nella scelta di un vaccino le variabili sono molteplici e sono legate sia al vaccino sia al paziente da vaccinare.
Tra i diversi fattori che possono influenzare la risposta di un organismo a una vaccinazione, prima fra tutti va ricordata la diversa risposta che si ha in seguito all’utilizzo di un vaccino non infettivo e di uno infettivo.
● Un vaccino non infettivo (inattivato o a subunità), avendo perso la capacità di replicarsi, non stimola pienamente il sistema immunitario (a meno che l’adiuvante utilizzato contemporaneamente non ne sia capace): a fronte di una risposta umorale (anticorpale) anche soddisfacente, innescata dall’interazione di linfociti B anticorpo-secernenti con gli antigeni esogeni (esposti sui microrganismi a localizzazione extracellulare), il comparto cellulo-mediato generalmente è solo scarsamente o per nulla stimolato, vista l’incapacità delle sue cellule effettrici (i linfociti T citotossici) di riconoscere un aggressore se non opportunamente presentato da una cellula (cosa che avviene invece nel caso dei vaccini MLV che causano un’infezione).
● Al contrario, un vaccino infettivo (vivo attenuato o a vettore ricombinante) stimola l’intero range immunitario (immunità umorale e cellulo-mediata, sistemica e locale): la valenza vaccinale, infatti, replicandosi nelle cellule, instaura una blanda infezione che, al pari di quella sostenuta dal patogeno di campo, attiva l’intero comparto immunitario, assicurando una protezione più completa e funzionando da ottimo “trucco”.
A volte però la scelta è obbligata: per alcune malattie si hanno a disposizione solo vaccini non infettivi (quando a volte sarebbe meglio ricorrere a vaccini vivi), mentre per altre sono disponibili solo vaccini infettivi (e in alcuni casi sarebbe più opportuno utilizzare vaccini spenti). In questi casi è il medico veterinario che, secondo scienza e coscienza, deve decidere cosa è meglio fare per il paziente che ha di fronte.
La frequenza dei richiami vaccinali è radicalmente diversa a seconda che si utilizzi un vaccino non infettivo (per semplificare spento) o un vaccino infettivo (vivo).
● Un vaccino spento, infatti, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, necessita di richiami ripetuti e ravvicinati (in genere mai distanziati più di un anno l’uno dall’altro, a parte rare eccezioni) per mantenere sempre attiva la memoria del sistema immunitario. In seguito alla prima somministrazione di un vaccino spento, gli anticorpi specifici raggiungono un titolo abbastanza elevato solo dopo diversi giorni (in genere 10-15), dopodiché tendono a diminuire prima velocemente e poi lentamente. Una seconda somministrazione dello stesso antigene (richiamo), distanziata di 3-4 settimane dalla prima, ha sempre un effetto decisamente positivo sulla risposta immunitaria: in questo caso, infatti, il titolo anticorpale specifico raggiunge in soli 2-3 giorni (o anche meno) un livello molto elevato, che tende a rimanere tale per un periodo molto più prolungato rispetto alla prima vaccinazione, ma necessita nel tempo di richiami ripetuti: questi richiami successivi hanno lo scopo di mantenere costantemente alti questi titoli che, raggiunto un determinato limite, difficilmente lo superano.
● Un vaccino vivo, invece, proprio perché tale, se non disturbato, fa tutto da solo e lo fa molto bene. Replicandosi, mantiene sempre vigile e attento il sistema immunitario: l’immunità che ne consegue, che si instaura a seconda del vaccino in un periodo variabile da poche ore a pochi giorni, è nettamente superiore a quella che si ottiene con un semplice vaccino spento e, di conseguenza, anche i richiami devono essere più distanziati nel tempo. La durata dell’immunità indotta dalla vaccinazione è indicata come DOI.
Per questi motivi, per la quasi totalità delle malattie prevenibili con vaccini vivi, la comunità scientifica mondiale suggerisce oggi di ripetere la vaccinazione con richiami triennali abbandonando una volta per tutte la pratica della vaccinazione annuale oggi non più giustificabile. In altre parole, non è vaccinando ripetutamente un animale che non ne ha bisogno che si riesce a indurre un’immunità migliore: un cane che riceve un vaccino core vivo (quello che funziona meglio per stimolare l’immunità) ogni 3 anni è protetto esattamente nello stesso modo di uno che riceve lo stesso vaccino ogni anno.
Per saperne di più su come scegliere i vaccini e quali variabili considerare leggi Vaccini e vaccinazioni degli animali da compagnia. Lo stesso argomento è stato trattato anche in un’intervista all’autrice.
A cura di Grazia Lapaglia
CITATI: PAOLA DALL'ARASe l'articolo ti è piaciuto rimani in contatto con noi sui nostri canali social seguendoci su:
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